Dopo avere ammorbato per un paio di mesi il dibattito negli ambienti liberal anglosassoni, ancora intenti a chiedergli il perchè di Trump e Brexit, è approdato, con il consueto provinciale ritardo, sulle sponde dei media italiani e dell’agone politico il dibattito sulla così detta “post verità”.
Questo nuovo oggetto di dibattito altro non è che un termine che racchiude al suo interno tante questioni: il diffondersi di bufale virali, il populismo, l’influenza sui social network sulla politica, la perdità di credibilità (e di introiti in alcuni casi) dei media tradizionali – e unidirezionali – come giornali e telegiornali.
E ancora una volta in questo dibattito nasce la costante tensione paternalistica del campo liberale-progressista: il problema non sono le storture della società che viviamo – a ben vedere dati strutturali e non deviazioni – ma il fatto che una quota sempre maggiore di individui non si senta più di fare affidamento sui partiti liberali.
Intendiamoci: i partiti più grettamente reazionari fanno ampio uso di una politica basata sull’emotività immediata e sulla diffusione di menzogne per scopi di propaganda: dagli immigrati che prendono 35 euro al giorno ai vaccini che fanno male, dal “piano Kalergi” alle scie chimiche, dal grande complotto giudaico alla negazione del global warming, dalle bufale sulla Kienge ai terremoti indotti. Non è niente di nuovo: ricordiamoci che una delle prime “bufale” estremamente influenti sul dibattito pubblico scientificamente prodotte a scopo politico di cui è possibile ricostruire storicamente la genesi sono i “Protocolli dei Savi Anziani di Sion”. Il fatto che dopo oltre centosessanta anni quella bufala continui a tenere banco ci dovrebbe dare la cifra del fatto che non sono i social media il problema. Eppure fioccano le proposte di controllo della rete.
Ma anche un altro fatto di questo dibattito colpisce l’attenzione: coloro che stanno portando avanti, con toni che volte rasentano l’isteria, questa tematica sono gli stessi media che hanno diffuso a spron battuto notizie false, imprecise e tendenziose.
Prendiamo, ad esempio, il concentrato La Stampa-Repubblica-L’espresso e le decine di quotidiani locali da esso controllati, su cui si leggono editoriali e corsivi di acutissime riflessioni sulla post-verità. Eppure non è che questi quotidiani siano poco avvezzi a diffondere notizie imprecise, manipolate e artefatte. Il direttore della Repubblica, tal Luigi Calabresi, ha dato spazio per anni, quando ricopriva lo stesso incarico presso la gazzetta aziendale della famiglia Agnelli – conosciuta anche come la Stampa, o in gergo, la Busiarda – ad un tal Massimo Numa, giornalaro con l’incarico di seguire la cronaca politica di movimento, famoso per la completa malafede con cui si arma al momento di scrivere articoli, o meglio di rielaborare le veline della magistratura. Oppure di come per la Repubblica lavorino come penne di punta dei noti plagiatori come Rampini[1] o come Saviano[2], famoso questo per avere inventato da zero saggi spacciati per must read sulla criminalità organizzata.
Vogliamo dare una veloce occhiata ai giornali locali afferenti al gruppo Espresso? Un concentrato di notizie raffazzonate, mal scritte, imprecise, una gestione delle pagine facebook del giornale che definire squallida è poco. I maggiori responsabili della xenofobia, del giustizialismo, del razzismo, della paranoia securitaria sono le varie gazzette locali che da anni producono strilli su questi argomenti per poter vendere più copie. Al contempo le ammiraglie editoriali del gruppo a cui appartengono pubblicano accurate analisi e vibranti condanne dei partiti populisti e xenofobi chiedendosi come abbiano fatto a rafforzarsi. I casi sono due: o si soffre di psicosi dissociative o si è in malafede.
Non parliamo poi del Corriere della Sera che, tra un editoriale su Beppe Grillo e un appello a votare Si per il referendum costituzionale, fa firmare colonne di analisi a personaggi come Galli della Loggia che, con i dovuti toni e le dovute formalità, propongono di andare a bombardare i barconi in partenza dalla Libia – ma sia mai che qualcuno scriva “cazzo” su una bomba – per poi dibattere per due settimane su quanto sono stati cattivi e antidemocratici i collettivi studenteschi bolognesi a contestarlo.
I giornali come Libero e il Giornale non li consideriamo nemmeno, ma rileviamo per lo meno il loro buon gusto nel non dibattere di post-verità.
Insomma ce ne è abbastanza per far sorgere un legittimo dubbio: che gli autonominatosi gatekeeper-fondamentali-per-la-democrazia in realtà non temano la concorrenza nel seminare balle?
Lorcon
[1]http://www.labottegadelbarbieri.org/quanto-inquina-repubblica/
[2]http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/09/24/roberto-saviano-laccusa-del-daily-best-per-scrivere-zerozerozero-ha-copiato-da-wikipedia/2066374/
Sul tema consiglio di leggere i due ottimi articoli, uno del giornalista e blogger Mazzetta, https://mazzetta.wordpress.com/2017/01/03/di-fake-news-post-verita-e-vecchi-tromboni/, e l’altro di Santiago Greco su Prismo Magazine, http://www.prismomag.com/amara-sorte-giornalismo-italiano/